Accadde circa 15 anni fa e fu in modo improvviso e inaspettato, che capii il valore del tempo dedicato a sé stessi.
Di tanto in tanto mi prende la febbre per qualche argomento e mi appassiono approfondendo tutto quello che trovo a riguardo.
Mi piace il blues rurale del Delta degli Stati Uniti di inizio 900? E via allora a comprare libri, ad ascoltare dalla biblioteca del congresso tutto quello che c’è, a comprare CD di vecchi bluesmen ormai morti da decenni.
Cos’è il Feng shui? Non lo sapevo, ma adesso qualcosa ne conosco.
15 anni fa mi prese la fissa dell’architettura organica, rappresentata principalmente da Frank Lloyd Wright.
E’ un’architettura che aspira all’idea che le costruzioni si fondano in armonia con la natura e che le case siano emanazioni degli aspetti che compongono gli uomini in ogni loro sensibilità.
Oggi si direbbe olistica, probabilmente. L’esempio più eclatante di questa architettura, fu la casa sulla cascata.
Tra le altre cose che scoprii, fu che uno dei rappresentanti in Italia che aveva qualche tratto in comune con l’architettura organica, era Carlo Scarpa, veneto. E una delle sue opere era ad una mezz’ora da casa mia, ad Altivole. Tomba Brion.
In architettura il nome dei progetti nasce solitamente dal nome del committente, e questa era appunto la tomba commissionata dai Brion.
Così un giorno, dopo aver accompagnato a scuola le ragazze, partii per visitare un cimitero. I cimiteri mi hanno sempre incuriosito, ma questo è un altro argomento. Quando entrai, trovai un normale cimitero della campagna veneta, ma quando alzai gli occhi, vidi due cerchi che si intersecavano: era da quel punto che iniziava il percorso. La tomba è un grande spazio che rappresenta il viaggio alla fine della vita, e niente è costruito a caso. Tutto rimanda ad esperienze, simboli. I due cerchi possono rappresentare la vita e le morte intrecciate insieme,, o anche l’uomo e la donna, o più in generale lo yin e lo yan.
I passaggi sono su pavimenti sdrucciolevoli, simbolo della caducità e dell’incertezza della vita.
Quando arrivai al giardino giapponese e mi sedetti circondato dalle ninfee, restai come in trance meditativo per non so quanto tempo, ed io e quel posto eravamo una cosa sola, e ne ero completamente immerso. Solo l’arrivo di due ragazzi orientali, armati di macchina fotografica, mi destò da quel momento d’estasi. Tutto era chiaro per me in quel momento: i richiami orientali, il legame con la tradizione della terra veneta. Tutto era racchiuso in quello spazio, ogni particolare era costruito per quel posto.
Tutto era studiato per un significato e niente era stato tralasciato.
Là, in mezzo alla campagna veneta, un capolavoro dell’architettura dell’anima alle spalle di un camposanto come ce ne sono tanti. L’esperienza fu forte, come poche altre di questo genere. Se fossi stato con qualcun altro sarebbe stato lo stesso? Ne dubito.
Le parole avrebbero falsato l’atmosfera e la mia attenzione. Ancora adesso quando ripenso a quel giorno, provo un grande rispetto per come è stato rappresentato il passaggio dalla vita alla morte.
Ma l’ho vissuto così intensamente perchè il rapporto era diretto: c’ero solo io e l’opera. Altre volte mi era capitato un tale rapimento ma con un libro, in cui le pagine lette volavano e le ore passavano a tal velocità da non rendersi conto del tempo che corre. E’ un coinvolgimento fisico ed emotivo in cui il tempo assume un’altra dimensione.
E ne esci diverso, più leggero. Ecco sembra che ogni istante acquisti importanza, che ogni momento sia così denso da non poterlo lasciare senza trattenerlo un po’ per assaporarlo bene.
Quando cammino in montagna è diverso, ha a che fare con il richiamo ancestrale della natura, tanto che ogni rumore o verso di un animale causa apprensione. Ma in fondo è il fatto di essere immerso e pervaso da quello che mi circonda, che mi induce a stare da solo per vivere queste esperienze.
Dedicarsi spazio è per me essere senza difese di fronte all’esperienza che vivo e venirne coinvolti, cambiati anche.
Questo stato, assolutamente temporaneo, porta ad uno stato di equilibrio con quanto mi circonda, e in quel momento sembra tutto perfetto, gratificante.
Ci sono diversi livelli di qualità del tempo che mi dedico e tutti hanno diversi gradi di coinvolgimento naturalmente. Quando cammino in montagna, quando vado a comprarmi un libro, quando passeggio in una città o quando fumo la pipa. Hanno a che vedere con il non dover essere legati a fare qualcosa di organizzato, ma di essere assolutamente liberi.
Ovviamente il fatto di essere libero di fare quello che si vuole è un momento illusorio e fugace, basta infatti una chiamata al cellulare per essere riportati al presente. Sono anche consapevole che prendersi del tempo sia una sorta di distacco o pausa dai problemi quotidiani. Finché sono in me stesso, nel mio mondo, non sono in un altro.
Ma ho visto che anche estraniarsi e vedere alcune questioni in modo più distaccato, aiuti a comprenderle meglio.
Fondamentalmente passare dal microscopio a qualcosa di più lontano, senza arrivare al binocolo. Coltivare le proprie passioni per coltivare sé stessi. Scegliersi e darsi un tempo, e soprattutto “usarlo” attivamente.
In fondo mi accorgo che avere del tempo per me è darmi un tempo per apprendere meglio le passioni che mi possono piacere e da cui ricevo qualcosa.
Poi ritorno alla vita normale, fatta di spostamenti, lavoro, preoccupazioni, gioie e tante altre cose.
Ma spesso non c’è posto per me e solo per me. Quando si dice: “Non ho tempo”, io lo declino con “Non ho tempo per me stesso”. Per il resto infatti ci si organizza.
E d’altra parte, quando ci si dedica del tempo, si pensa anche alle cose fatte, non fatte o che vorresti aver fatto diversamente.
Ho 53 anni e ho più tempo alle spalle che davanti e mi chiedo cosa fare degli anni che mi restano.
Ecco, vorrei viverli in momenti di felicità.
E’ come scegliere un’altra via: il mondo va da un’altra parte? Come bilanciare tutto questo se non con momenti di felicità?
Romantico? Indubbiamente. E anche ingenuo.
Ma una delle cose che mi restano degli ultimi due anni è il non perdersi solo in frivolezze perchè il tempo a nostra disposizione non è infinito.
In questi due anni in fondo, mi è mancato l’essere nella piena possibilità di decidere, nella capacità totale di scegliere realmente cosa fare. E soprattutto il subire gli eventi e le costrizioni mi è risultato inaspettatamente vincolante. Il vedere che nell’opacità delle imposizioni tanti, senza troppi ripensamenti, le abbiano accettate senza porsi tante domande, ha creato in me una frattura. Come se dopo questo non potesse esserci ritorno.
Così nei fatti, come con le persone.
Così il crescere in me di atteggiamenti a volte più speranzosi (prima o dopo finirà) o fatalisti (ciò che deve accadere, accade), mi ha portato ad una sorta di distanza dagli eventi. E di cercare di capire quali siano per me le cose importanti. Quelle che vanno oltre la vita quotidiana.
Il primo passo è vivere le cose che mi appassionano, quelle del tempo dedicato a sé stessi
Un altra cosa a cui sto pensando in questi giorni è una lista.
Sì, una lista.
In cui scrivere le cose che vorrei fare nei prossimi tempi, quelle che hai sempre sognato di fare almeno una volta nella vita.
Mi sento in movimento.