Lettera di una interruzione di gravidanza

Lettera di una interruzione di gravidanza

Ciao,
sono Silvia.
Ho deciso di condividere la mia esperienza scrivendo questa lettera, in particolare per
ringraziare di cuore tutto il reparto di Ginecologia dell’ospedale di Montebelluna, le
ginecologhe del Centro di Medicina di Castelfranco che mi hanno seguita e la mia
psicologa-psicoterapeuta privata.
Vorrei che qualsiasi donna si trovi ad affrontare il percorso di interruzione di gravidanza,
riceva il giusto supporto, come quello che ho trovato lì con Voi professionisti.
Sono mamma di una meravigliosa bambina di due anni e mezzo; io e mio marito da tempo
avevamo preso in considerazione di “allargare la famiglia”.
Scopro di essere in attesa i primi di gennaio e ne siamo tanto felici informando la nostra
famiglia e gli amici più stretti.
Come abbiamo fatto anche per la nostra prima figlia, decidiamo di effettuare il test del
DNA FETALE, l’ecografia dettagliata di quel giorno ci riporta che va tutto bene: i marcatori
sono nella norma, nessuna anomalia da segnalare, veniamo anche già a scoprire il
sesso…un maschietto e siamo felicissimi. Ci resta che aspettare l’esito del test che
arriverà dopo una decina di giorni.
Quando riceviamo l’esito del test, rileva una alta probabilità che il feto sia effetto da
Trisomia 21, stento a credere che sia vero l’esito, incredula di quanto mi è stato
comunicato al telefono.
Il giorno dopo mi rivolgo alla mia ginecologa, la quale mi prescrive la lettera per effettuare
urgentemente l’amniocentesi, riferendomi che i test di DNA FETALE hanno una probabilità
di falsi positivi nella trisomia 21 dell’1% e di non aggrapparmi a questo 1%, di rimanere
con i piedi per terra.
Solo l’amniocentesi, essendo un esame diagnostico, darà la conferma al 100% dell’esito.
Noi come coppia e come genitori prendiamo la decisione, che se l’amniocentesi
confermasse la sindrome di Down, di non proseguire con la gravidanza.
La ginecologa mi informa che se entro fine aprile non mi fosse arrivato l’esito di attaccarmi
al telefono e chiamare; i tempi sono stretti e c’è il ponte del primo maggio; non possono
passare i tempi previsti dalla legge italiana per l’interruzione di gravidanza, altrimenti sarei
dovuta andare all’estero per interrompere.
Credo che la legge dovrebbe essere rivista e cambiata; se si riscontrano importanti
sindromi o patologie gravi, dopo questo tempo, perché non posso essere tutelata e
supportata nel mio paese….?. Se i tempi si fossero allungati avrei dovuto interrompere la
mia gravidanza in un altro Paese.
La nostra decisione non è stata facile da prendere, ci sono state notti insonni e tensioni,
con la speranza sempre accesa dell’1% di un falso positivo, da non alimentare troppo per
non avere un ulteriore dolore.
È stato difficile aspettare i 20 giorni dell’arrivo dell’esito dell’amniocentesi, perché sentivo
dentro di me ‘muoversi’…sapevo e anche “lui” sapeva che ci saremmo salutati, quando
sarebbe arrivato il momento.
Nell’attesa infinita di questi 20 giorni, ho contattato la mia psicologa di fiducia che mi aveva
seguito in passato.
È importante avere un sostegno psicologico ed avere qualcuno che ti aiuti ad elaborare la
tua scelta ed aprire i “cassetti” della mente e del cuore per affrontarla e non lasciare niente
di irrisolto , perché poi il dolore che si prova non ti bruci ogni giorno; è importante avere
sostegno nel momento di attesa della risposta dell’esito per aiutarti a “vivere” al meglio il
tempo fino alla risposta; è importante avere un sostegno anche dopo….poter scegliere ciò
che si vuole veramente perché la vita è mia e voglio poter scegliere; è importante essere
accompagnati nella propria scelta, non essere giudicati, contrariati o messi in discussione.

È una scelta d’amore, ogni scelta di questo momento di limbo, è un bivio, veloce, ma la
scelta è riconoscere le proprie forze e capire- sentire- ciò che si vuole e si riesce a fare.
Io mi sono sentita convinta nel prendere questa decisione, come ho detto al mio papà
“papi io sono in pace con me stessa con “lui” ho già “parlato” e sa che lo lascerò andare”.
Essere genitori oggi di una bambina che sta bene non è facile, conciliando tutto quello che
la vita di oggi comporta, immaginarci genitori di un bambino affetto da sindrome di Down,
per “lui” e per noi, non ce la siamo sentita.
Per i nostri motivi personali che ci hanno portato a questa decisione, non siamo stati
giudicati ma supportati; e così dovrebbe essere per chiunque si trovi ad affrontare questo
percorso.
Trascorro i 20 giorni, ricevo la telefonata che l’amniocentesi ha confermato la sindrome.
Vado in ospedale per ricevere le informazioni per il ricovero, sarei già stata ricoverata dal
giorno dopo, nel reparto di ginecologia e avrei trovato un medico, NON obiettore di
coscienza.
Così mi ha permesso di essere libera e non giudicata.
Ognuno può avere le proprie idee ed opinione ma deve prevalere la figura professionale in
particolare nel mondo del servizio pubblico e anche nel privato, perché questa rimane una
scelta Personale.
Arriva il Mercoledì, alle ore 8.00 mi presento davanti al reparto e vengo accompagnata in
stanza, viene aperto la cartella per il ricovero mi viene spiegato come funziona l’induzione
del parto, avendo già avuto una bambina sarà veloce 1 -2 giorni, anche se non fu così… .
Inizio con le 2 prime pastiglie da sciogliere sotto la lingua, e poi partire dal giorno
successivo dalle 9 alle 21 di sera ogni 3 ore 2 pastiglie per far per partire il travaglio.
Mi viene messo una flebo con un antidolorifico, perché all’arrivo delle contrazioni non devo
provare dolore, “questo non è quel dolore” mi dicono, “se possibile qui noi ti vogliamo in
qualche modo “sollevare” a non farti stare male”.
Nel pomeriggio del primo giorno di ricovero, insieme a mio marito, un’ostetrica ci fornisce
una serie di informazioni e scelte che possiamo prendere liberamente: vedere o meno “lui”
dopo il parto, se volevamo eseguire la biopsia sul feto e sulla placenta e se volevamo
occuparci noi della sepoltura e se avevamo bisogno di un sostegno psicologico.
Noi come coppia abbiamo deciso di non vedere, abbiamo lasciato che fosse l’ospedale ad
occuparsi della sepoltura e abbiamo deciso di non eseguire nessuna biopsia. Il sostegno
psicologico lo avevo già richiesto, ci siamo andati anche insieme e ci ha aiutato a parlare
tra di noi e con noi stessi.
Essere lì ci faceva già tanto male, nella massima libertà e rispetto abbiamo preso queste
decisioni e insieme siamo stati i quei giorni fino al Sabato, quel giorno il “parto” si è avviato
e in poco tempo, è successo…Poco dopo sono stata accompagnata in ambulatorio e li mi
hanno “sistemato” e pulito perché parte della placenta era ancora rimasta appesa.
In quattro persone mi “accudivano” accarezzandomi la testa; mentre ero distesa, piangevo
e guardavo il soffitto con un senso di sollievo e leggerezza che questa parentesi dolorosa
in parte si era conclusa.
Per quanto difficile e doloroso siano stati quei giorni, io mi ritengo fortunata ad aver trovato
in questo reparto una “famiglia” delle infermiere, personale OSS, ostetriche, ginecologhe
che sono state i miei “angeli”, sempre una parola di conforto, di forza, “nessuno è qui per
giudicare”, questo è quello che mi sono sentita dire, mi hanno sostenuta, ci hanno
sostenuti. Serve umanità e vi ringrazio siete stati una squadra.
 
L’umanità e la sensibilità che ho trovato è stata unica e per sempre di cuore ringrazierò.
Domenica sono stata dimessa, tornata a casa ho abbracciato la mia bambina, nel mio
cuore c’è un peso che sto elaborando ma allo stesso tempo c’è la consapevolezza che la
scelta fatta, era per noi la scelta giusta.

Continuo il mio percorso per chiudere ogni porta di sofferenza, mi sento libera di parlarne
con il mondo che mi circonda, perché ho scelto di sentire ciò che sono, ho scelto di essere
IO.
Che la mia storia possa aiutare a sentirsi “liberi”.
Grazie
Silvia

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